Space debris: non sono tutte “balle spaziali”

Sono chiamati in inglese space debris, letteralmente “detriti spaziali” e orbitano attorno alla Terra da quel non troppo lontano 1957, quando il primo satellite artificiale, il famoso Sputnik fu lanciato dal cosmodromo kazako di Baikonur.

I ricercatori e scienziati dello spazio, e non solo, di tutto il mondo non si erano resi conto, presi dagli affascinanti e coinvolgenti programmi spaziali, che probabilmente, a lungo termine, abbandonare “pezzi di alta tecnologia” nello spazio limitrofo l’atmosfera terrestre avrebbe potuto causare qualche problema in futuro non troppo prossimo.

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I detriti spaziali includono tutto ciò che orbita attorno alla Terra creato dall’uomo e non più utile. L’aumento della popolazione di questi oggetti pone un rischio esponenziale per le missioni spaziali, che devono calcolare e letteralmente schivare questi ammassi informi di rifiuti, per evitare di andare a sbatterci contro.

Dal lancio dello Sputnik, più di 4500 missioni spaziali hanno lanciato in orbita circa 6000 satelliti, in aggiunta a un vastissimo numero di oggetti più piccoli. Di questi 6000 solo poco più di 1000 sono satelliti attivi (corrispondente a circa il 5% di tutti gli oggetti nello spazio) distribuiti in diverse altezze orbitali. Circa l’85% dei satelliti presenti nelle orbite attorno alla nostra Terra è rappresentato da satelliti non più operativi, che si muovono ad altissima velocità senza poter essere controllati in nessun modo. A questi si aggiungono centinaia di milioni di piccoli frammenti che da soli potrebbero danneggiare gravemente i satelliti operativi o deviarne la rotta.

Quindi i rifiuti spaziali sono davvero un problema! Ma ci sono diversi vincoli e ostacoli nell’applicazione di soluzioni a questo vero e proprio inquinamento spaziale. Politica, economia e tecnologia, in questo caso dialogano a fatica e spesso bloccano le operazioni di pulizia dello spazio limitrofo alla terra.

Il problema politico: chi ha inquinato lo spazio?

Difficile definire e indicare con precisione chi abbia prodotto i rifiuti spaziali. Questi corpi abbandonati generalmente nell’orbita geostazionaria della Terra (circa 36mila km dall’atmosfera terrestre), subiscono variazioni di forma e peso e spesso è complicato definirne la provenienza e dunque la responsabilità per lo smaltimento. Oltre a questo aspetto, ne esiste uno ancor più politico! La maggior parte di questi detriti sono rappresentati da satelliti abbandonati e non più funzionanti, ma quale Paese si prenderebbe la briga di eliminare dallo spazio il satellite di un altro paese, rischiando scontri diplomatici o peggio? Domande che per ora rimangono in sospeso e che determinano un mancato intervento da parte di chiunque sulla questione.

Il problema economico: quanto costa eliminare gli space debris?

Secondo Donald Kessler, astrofisico americano e tra i primi a porsi il problema dei detriti spaziali, sicuramente le operazioni di pulizia dello spazio hanno costi molto elevati se non proibitivi per qualunque governo, ma al tempo stesso, più si attende di prendere una decisione, più queste cifre aumenteranno.

Il problema tecnologico: esiste una tecnica unica di raccolta rifiuti nello spazio?

La risposta è “attualmente no”. La diversificazione di questi detriti e le loro dimensioni, che variano dai 10 centimetri fino a diametri di svariate decine di metri, purtroppo non esiste una metodologia unica e generica per risolvere il problema. Allo stato attuale della tecnologia disponibile all’uomo, i detriti spaziali rimangono un problema senza soluzione.

In questi giorni in cui si discute animatamente di generazione climatica e cambiamento climatico già in atto da 50 anni, la questione dei rifiuti spaziali pone l’accento sul fatto che l’uomo continua a progredire a scapito di tutto ciò che lo circonda e che lo ha preceduto, causando problemi sempre più grossi alle generazioni future.

La mancanza di previsioni in merito agli effetti futuri della presenza di questi scarti spaziali, rende la loro eventuale minaccia alla Terra un argomento senza reale fondamento. Ma rischi e minacce potrebbero manifestarsi a medio e lungo termine e l’atteggiamento degli enti di ricerca e dei governi in questo ambito dovrebbe essere di tipo precauzionale, per evitare futuri problemi più reali e concreti per il nostro pianeta, sempre in bilico a causa delle spesso sconsiderate attività antropiche.

Allo stato attuale, su piano internazionale esiste un unico documento, concluso nel 2007, intitolato Linee guida per la mitigazione dello Space Debris, che rappresenta un passo importante a livello di cooperazione internazionale, ma non è un protocollo giuridicamente valido in caso di incidenti o cause civili o penali future, proprio per la natura di “linee guida”.

Secondo una ricerca effettuata negli Stati Uniti, dall’inizio del 1957 più di 22 000 oggetti sono rientrati nell’atmosfera terrestre dopo l’abbandono nello spazio: più di un oggetto al giorno, in media. Per fortuna, siccome il 75% della superficie del nostro pianeta è ricoperta d’acqua, la maggior parte dei detriti colpiscono la Terra in zone non abitate. Ma se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, è pur vero che non dura per sempre! La settimana scorsa sono piovuti sulla Spagna tre “oggetti non identificati”: pezzi di satelliti e un serbatoio di razzo. Questi resti spaziali hanno le campagne nei pressi di Mula, cittadina spagnola posta tra le regione di Murcia e Alicante. Niente di romantico: non erano marziani, soltanto “schifezze spaziali”!

Insomma, la prossima volta che avvisteremo una scia luminosa nel cielo stellato, non potremo fare a meno di chiederci se sia una stella cadente nella quale riporre le nostre umane speranze o un pacco di rifiuti lanciati dalla terra. L’ennesimo paradosso dell’evoluzione della specie!

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