Ricerca italiana: un appello al Governo, per far investire sui cervelli italiani
Problema spinoso e discusso dai media soltanto per sensazionalismo, quello della ormai arcinota fuga dei cervelli italiani. I giovani ricercatori si formano, studiano e lavorano durante la carriera universitaria negli eccellenti istituti del bel Paese, ma al momento di riscattarsi dalla loro situazione di dottorandi o laureandi, ricevono poche offerte di lavoro per rimanere in Italia, dunque se ne vanno.
Una storia vecchia, purtroppo, alla quale spesso si da’ voce in modo sbagliato, che mette in crisi i bilanci in termini di risorse umane e creative della penisola. I docenti strutturati e i ricercatori senior non possono da soli impegnarsi a trattenere una giovane mente nel proprio istituto di appartenenza e spesso sono loro i primi a spingere i ragazzi più dotati verso l’estero, per cercare sbocchi professionali di qualità e soddisfazione anche economica.
Alla fine del mese di marzo, un gruppo di ricercatori italiani che lavorano all’estero ha scritto una lettera al direttore del quotidiano La Repubblica, esponendo i reali problemi che portano all’uscita di giovani ricercatori dal sistema italiano. La novità è che non si sono fermati qui! Hanno anche fatto proposte concrete per la risoluzione di queste problematiche.
Che cos’é ERC?
ERC è un finanziamento che crea ulteriori posti di ricerca, perché chi lo ottiene ha ingenti fondi per assumere ricercatori e dottorandi e sviluppare il proprio progetto a tempo determinato. Ciascun governo applica poi le sue distinzioni in modo da creare indotto legato a tale finanziamento. E’ suddiviso in due filoni: ERC Consolidator che dal nome stesso servirebbe per consolidare una ricerca scientifica e quindi il lavoro dei ricercatori che se ne occupano, sviluppando nuovi progetti e studi e quindi nuova richiesta di ricercatori; ERC Starting Grant, dedicato ai ricercatori più giovani, sempre con la finalità di supportarli per poi accompagnarli negli sviluppi del loro settore di studio. Nonostante questo, un decreto Ministeriale italiano del 28 dicembre 2015, il n. 963 offre ai vincitori di ERC Consolidator, spesso sono già ordinari, un posto da ricercatore a tempo determinato o da professore di ruolo di II fascia e ai destinatari di ERC Starting Grant semplicemente un posto da ricercatore a tempo determinato.
All’estero questi finanziamenti rimangono patrimonio del Paese in cui il ricercatore si è formato o lavora, perchè viene creato un circolo virtuoso di fondi e opportunità, che diano prestigio non solo allo scienziato, ma anche al suo governo..
Un po’ di numeri…
Su 30 ricercatori italiani “premiati” dai finanziamenti ERC Consolidator 2015 e stanziati dalla comunità europea, più della metà – 17 per dovere di cronaca – lavorano all’estero.
Questa tipologia di finanziamento viene assegnata dal 2007 e suddivisa nei diversi Paesi europei. Ma c’è un problema, mentre negli altri stati vengono impiegati per ricerca in loco, il caso italiano è tutto particolare. Gli italiani vincono i bandi ERC in quanto cittadini di questo Paese, ma per progetti che vengono realizzati all’estero!
Negli ultimi 3 anni, dal 2013 al 2015 l’Italia ha perso in questo modo 92 milioni di Euro di finanziamenti destinati alla ricerca. La terrra che ha dato i natali a Fermi, Marconi e moltissimi altri volti noti della ricerca, crea formazione di alto livello, ma non investe nel mantenere in patria i propri ricercatori. E’ questo un problema legato a finanziamenti non solo pubblici, ma soprattutto privati, da parte di aziende che non si occupano del settore “ricerca e sviluppo”, pur avendone costante bisogno per implementare e migliorare la propria produzione.
Questo il motivo della mobilitazione dei ricercatori firmatari della lettera al Governo inviata al primo quotidiano nazionale.
“La preoccupazione per quanto sta accadendo – dichiarano nella lettera – ci ha uniti nel tentativo di individuare le principali cause di questo progressivo impoverimento e nel desiderio di proporre alcune soluzioni che, speriamo, possano fornire un punto di partenza per un piano di ristrutturazione radicale del sistema italiano della ricerca”.
I problemi dal punto di vista dei ricercatori
Estrema scarsità di fondi e investimenti
Fra il 2003 e il 2013 l’Italia ha speso in ricerca e sviluppo l’1,05-1,27% del PIL. La Francia ha speso il 2,09-2,23%. La Germania il 2,42-2,88%. Per competere con questi Paesi, l’Italia dovrebbe raddoppiare i fondi destinati a ricerca e sviluppo. Le cifre includono fondi pubblici e privati, il che vuol dire che sono le politiche combinate di Stato e impresa a essere inadeguate.
La soluzione proposta dai ricercatori firmatari della lettera è quella di istituire dei grant italiani per i giovani ricercatori e assegnare ai dipartimenti virtuosi (che dimostrano l’eccellenza delle proprie ricerche e l’utilità delle stesse allo sviluppo del Paese dal punto di vista economico, ma anche di visibilità nei confronti del resto del mondo) finanziamenti aggiuntivi. Questo stimolerebbe competizione tra gruppi di ricerca, meritocrazia, risanamento della perdita di ricercatori che l’Italia subisce da molti anni in tutti i settori.
Mancanza di trasparenza nell’attribuzione dei fondi
I criteri per l’attribuzione dei fondi a ricercatori, gruppi e centri di ricerca sono opachi. Ma peggio ancora, con la promessa di essere integrati in un gruppo di ricerca, i giovani ricercatori senza un posto fisso vengono utilizzati per cercare finanziamenti e richiederli. Inoltre, gli indici considerati per la valutazione di un progetto che partecipa ai bandi italiani non vengono esplicitati con il dovuto anticipo, e fanno riferimento a parametri non conformi a quelli accettati dalla comunità internazionale.
Secondo i ricercatori protagonisti della lettera, l’Italia dovrebbe istituire “un’agenzia per la ricerca (ad esempio NSF americana o DFG tedesca), che gestisca l’assegnazione di fondi in base a giudizi espressi da commissioni a forte carattere internazionale. I fondi di ricerca non andrebbero quindi assegnati tutti direttamente alle università o ai gruppi di ricerca, ma andrebbero in misura cospicua assegnati a progetto, con selezione effettuata da una commissione che comprenda molti membri internazionali”. Sarebbe inoltre una garanzia di successo e reinvestimento dei fondi assegnati, la possibilità agli assegnatari dei finanziamenti, di poter gestire autonomamente il denaro ricevuto dall’agenzia di ricerca. Altro punto fondamentale è la mobilità dei ricercatori, che andrebbe stimolata con premi aggiuntivi, per non rischiare di diventare autoreferenziali e mancare di misurarsi con altri colleghi dello stesso settore o anche di ambiti diversi di appartenenza.
Mancanza di trasparenza nelle assunzioni, incertezza dei regolamenti
Il mondo accademico italiano non riesce a “svecchiarsi”. Su 13.263 professori ordinari, soltanto 6 sono “under 40”. Gli altri si aggirano su un’età media di 59 anni. Tra gli associati l’età media scende a 53 anni e tra i ricercatori a 46, comunque troppo alta, per dare un’impronta giovane alla ricerca italiana. Per i giovani è bassissima la probabilità di essere assunti a tempo indeterminato, non esiste meritocrazia e un ricercatore junior non veda una speranza di futuro, per questo la maggior parte di loro esce dall’Italia e spesso non vi fa più ritorno. Spesso infatti, le assunzioni vengono fatte in base al “tempo di attesa del proprio turno”, indipendentemente dal lavoro svolto e dai risultati raggiunti. In alcuni settori della ricerca italiana vengono tollerati curricula costituiti da pubblicazioni apparse su riviste locali, con editori che non applicano un sistema di referee valido e anonimo. E’ questo il motivo per il quale il sistema di aggiudicazione di una borsa di studio o di un contratto a tempo determinato o indeterminato, in Italia viene continuamente ristrutturato, creando disordine, scarsa informazione e mancata trasparenza nei concorsi di accesso ai pochi posti disponibili.
Per ovviare a questa problematica spinosa, perché coinvolge altri ricercatori e professori delle maggiori università e centri di ricerca italiane, i firmatari della lettera propongono “chiari percorsi di carriera”, piani di sviluppo di carriera per ciascun giovane ricercatore, italiano o estero, che si affaccia alla sua prima collaborazione con una università o centro di ricerca. Garantendo chiare modalità di avanzamento di carriera ed eliminando le manovre di assunzione straordinarie, che aumentano l’incertezza dei precari e non permettono di pianificare seriamente le attività e lo sviluppo di un progetto di ricerca.
Sono molte le eccellenze progettate e sviluppate in Italia, potrebbero essere di più e potrebbero diventare il motore dello sviluppo italiano, insieme ai beni culturali e al turismo.
Occorrerebbe investire sul settore gestendo risorse, e non “rosicchiandole” a destra e a manca, in modo puntuale, razionale e meritocratico. Questo ultimo punto è quello che ci distanzia così fortemente dal resto dell’Europa e del mondo.