Il Papa, l’ambiente e la scienza
Dopo molti rumours mediatici, il 18 giugno Papa Francesco ha annunciato la sua seconda enciclica dal titolo: “Laudato Sii”.
“A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi eco- logica” queste le parole di apertura del terzo capitolo, dedicato alla riflessione sulle azioni dell’uomo. L’uomo e la sua tensione verso la conoscenza e il progresso in senso lato hanno portato grandi miglioramenti nella vita quotidiana: da quelli legati alla medicina, alle costruzioni; dalle comunicazioni, ai trasporti, passando per quasi tutti gli ambiti della quotidianità. Le scoperte scientifiche, però, hanno consegnato un grandissimo potere nelle mani dell’uomo e immediatamente vengono alla mente la bomba atomica e le derive tecno-scientifiche del nazismo.
Siamo a Frascati, capitale della ricerca scientifica in Italia. Vogliamo fare qualche domanda a Giovanni Mazzitelli, Presidente di Frascati Scienza, per capire il punto di vista di un uomo di scienza davanti alle parole di un uomo di fede.
Papa Francesco parla di paradigma tecnocratico, affermando che “l’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione per eventuali conseguenze negative per il genere umano”. Da ricercatore, qual’è il suo punto di vista? Anche lei crede che la tecnologia domini il mondo in una sregolata corsa al massimo profitto? Eppure guardandoci intorno non sembra che la cultura scientifica sia quella dominante nella popolazione.
A mio avviso il problema non è la tecnologia, ma l’uso che se ne fa. La specie umana, rispetto alle altre specie che popolano la terra ha un grandissimo vantaggio: affianco all’evoluzione biologica, che attraverso la selezione naturale permette l’evoluzione dei caratteri genetici garantendo sopravvivenza e competizione con le altre specie, ha a sua disposizione anche una “evoluzione” tecnologica. Da quando l’uomo ha inventato il primo utensile, estendendo le proprie capacità fisiche e di sopravvivenza è diventato molto più efficiente. Tutto ciò è fantastico, è il bello del nostro sapere, della ricerca, dell’evoluzione tecnologica. Il problema nasce quando si vuole ottenere mero profitto attraverso l’innovazione tecnologica. Il danno sociale ed ecologico nasce dal fatto che la tecnologia, e l’efficienza dei processi, non sono più al sevizio dell’uomo, ma al servizio del mercato, del profitto e dunque del consumo. Inoltre, troppo spesso la tecnologia è in mano a pochi uomini e a multinazionali che magari aumentano i loro profitti attraverso paradisi fiscali creando denaro quasi dal nulla: Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma… in natura non esiste alcun processo che possa generare realmente qualcosa dal nulla, c’è sicuramente qualcuno che viene sfruttato nel lavoro o un luogo a cui sottrarre risorse, anche nei paradisi fiscali dove questo gioco sembra molto efficiente. Purtroppo questo denaro serve quasi esclusivamente a produrre altro denaro e quasi mai benefici per la società. Oggi avere una cultura scientifica significa saper riconoscere cosa sia realmente “scienza” rispetto a quanto ci viene spacciato dal mercato come progresso.
Nel paragrafo 110 il pontefice parla della frammentazione del sapere e ricorda, con una frase molto forte che “Tutto è connesso”. Richiama all’integrazione del sapere scientifico con le altre aree “classiche” della conoscenza, da fisico cosa ne pensa? È ancora possibile?
Spesso, nell’immaginario comune, vi è una visione della scienza meccanicistica e riduzionista, che allontana chi non ha realmente una cultura scientifica perché sentita lontana da quello che guida la vita come le emozioni, le interazioni umane, i sensi. Questo era probabilmente vero nell’ottocento, con la rivoluzione industriale e nei primi del novecento quando si cercava di capire l’atomo come mattone indivisibile. In realtà il sapere scientifico moderno ha ad oggi superato questa visione riduzionista, perfino le scienze definite dure come la fisica, la meccanica statistica, la relatività ristretta e generale, la fisica quantistica e infine le teorie dei campi, hanno sancito che il modo di interagire è parte di cosa interagisce in modo inscindibile. Tutto è connesso, perfino lo spazio vuoto ha un posto: le sue fluttuazioni hanno generato l’universo. Personalmente non vedo alcuna distinzione fra il sapere classico e quello scientifico, forse a quest’ultimo possiamo solo imputare di precorrere, come spesso accaduto recentemente, i tempi.
La sostenibilità e la conservazione della nostra terra avviene soltanto se cambiamo il modo di pensare e se riusciremo ad “assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome”. Il pontefice richiama ognuno a fare la propria parte: cittadini, scienziati, politici, imprenditori. Secondo lei a che punto siamo?
Si definisce sostenibile il piccolo sottoinsieme di tre macrosistemi: economia, società e ambiente. Se questi sanno colloquiare in modo armonico e rispettoso riusciamo a creare prodotti e attività sostenibili. In tutto ciò scienza e tecnologia non sono attori, ma strumenti. E’ quindi paradossale che si parli di un dibattito come confronto fra scienza e società. E’ come chiedere alla zappa di non colpire i piedi. Forse bisognerebbe rendersi conto di quali siano i veri attori di questo dibattito oltre alla società. Visto che l’ambiente non ha la parola, rimane solo l’economia che oltre a servirsi della tecnologia detiene anche altri strumenti: l’informazione e parte della politica che a rigore dovrebbe essere quantomeno super partes. In questo scenario, troppo spesso la comunicazione e la politica tendono a colpevolizzare i cittadini, piuttosto che a responsabilizzarli con l’obiettivo di perseguire logiche di consumo ed interessi del mercato, piuttosto che il reale benessere della società. Siamo probabilmente alle porte di un disastro ecologico irreversibile, le previsioni danno per il 2100 una popolazione mondiale a sette cifre, una temperatura in media fino a 5-7 gradi sopra l’attuale e la conseguente desertificazione. Ma, ogni giorno sentiamo o leggiamo elencati consigli eticamente “verdi”, come quello di spegnere il televisore quando è in standby, sulla raccolta differenziata, o in generale che i cittadini devono essere ecologicamente attenti, mentre si consente alle industrie di continuare a consumare ed inquinare semplicemente acquistando certificati verdi. Come se il nostro televisore potesse fare la differenza nel conto energetico planetario. E’ ovviamente giusto e sano educare la società ad avere una coscienza eticamente ecologica, ma sarebbe altrettanto educativo non spostare sulla scienza la responsabilità di un “dibattito” in cui lo scienziato non ha alcuna influenza.
“Non è possibile frenare la creatività umana. Se non si può proibire a un artista di esprimere la sua capacità creativa, neppure si possono ostacolare coloro che possiedono doni speciali per lo sviluppo scientifico e tecnologico sono state donate da Dio per il servizio degli altri. Nello stesso tempo, non si può fare a meno di riconsiderare gli obiettivi, gli effetti, il contesto e i limiti etici di tale attività umana che è una forma di potere con grandi rischi”. E’ tutta una questione di etica? La scienza deve diventare etica o lo è di già?
I fisici direbbero che l’etica, il contesto e perfino gli obiettivi delle attività umane non sono concetti invarianti per trasformazioni spazio-temporali. La specie umana non solo impara attraverso una continua “evoluzione” tecnologica, ma è capace anche di cambiare il proprio modo di pensare. L’etica dei nostri padri è diversa da quella dei figli, l’etica di un africano, di uno slavo, di un fondamentalista religioso o anche di un americano, è molto diversa da quella di un europeo impegnato per i diritti umani e le lotte contro le discriminazioni. L’etica della chiesa all’epoca delle crociate e di Galileo Galilei era sicuramente diversa da quella della chiesa di oggi. Quindi, la domanda che ci dobbiamo porre è se quello che non riteniamo etico oggi, sia realmente dovuto al desiderio di migliorare l’umanità oppure se non derivi semplicemente dalla nostra incapacità di comprendere e immaginare la natura e il futuro. Manipolare l’embrione per eliminare malattie genetiche o creare OGM per permettere le coltivazioni in paesi sottosviluppati sono esempi delle nuove frontiere di temi che un domani riterremo giusti o sono in assoluto azioni sbagliate? Difficilmente guardando al passato trovo esempi di scelte non ritenute etiche che poi non lo siano diventate con il tempo, mentre ho molti esempi di cose che riteniamo etiche e che non lo sono ancora per tutti, basti pensare alla violazione costante nel tempo e nello spazio di un semplice principio in cui tutti sicuramente crediamo: non uccidere.