Un Universo vuoto ma speciale
Il 24 settembre 2012, alle ore 11:00, nell’aula III del Nuovo Edificio di Chimica (Università Sapienza di Roma), il professor Alessandro Melchiorri ci racconterà “La struttura dell’Universo”, le sfide, gli ultimi capitoli e i possibili sviluppi di quella scienza, la cosmologia, che ha l’oggetto di studio più grande che ci sia: l’intero universo. A seguire un articolo del professor Melchiorri con una discussione divulgativa dei temi che saranno approfonditi durante l’evento. Per le scuole è necessario prenotarsi alla conferenza, qui invece si può trovare il programma completo della Settimana della Scienza.
La cosmologia, la scienza che studia l’evoluzione e la struttura del nostro Universo, ha subito negli ultimi cento anni una vera e propria rivoluzione, probabilmente superiore per impatto e conseguenze a quella Copernicana. Dalla concezione di un universo eliocentrico, statico ed eterno, si è passati a quella di un cosmo in continua evoluzione con un inizio (il Big Bang) e una probabile fine (il Big Rip o il Big Chill).
Il Sole non è più al centro di nulla, ma ai margini di una galassia a spirale come tante. La sua importanza nel destino del cosmo è totalmente trascurabile. Gli elementi chimici quali il carbonio, l’azoto e l’ossigeno di cui siamo formati non sono particolari o esotici, ma presenti più o meno ovunque nella nostra galassia, quali semplici prodotti di scarto dell’evoluzione stellare. Inoltre solo piccolissime, infinitesime, zone dell’universo risultano abitabili. In generale il vuoto, le radiazioni e le temperature vuoi elevatissime o vuoi prossime allo zero assoluto non facilitano la vita ma anzi la distruggono. Più che il prodotto di un generoso Creatore, l’Universo ci appare sempre più come un ambiente sterilizzato, come volutamente disinfestato dalla presenza di qualunque forma di vita. Un cosmo quasi totalmente vuoto. Ma è proprio questo vuoto siderale che negli ultimi anni ha riservato le scoperte più sensazionali.
Cosa è il vuoto e come si comporta?
Nella vita di tutti i giorni non abbiamo una esperienza diretto con il vero vuoto. Abbiamo tutti un’aspirapolvere a casa, ma il vuoto che possiamo produrre con questa macchina è appena di poco inferiore (di circa un quinto) a quello della pressione atmosferica. Vuoti più spinti possono essere ottenuti con macchine speciali fino a un milione di miliardi di volte inferiori alla pressione atmosferica. Ma il vuoto con cui abbiamo a che fare in cosmologia è molto superiore.
Su distanze enormi, di diversi miliardi di anni luce, può capitare che nello spazio tra le galassie la densità di materia raggiunga un valore enormemente basso, pari a quello di quattro atomi di idrogeno in un metro cubo. Valori irraggiungibili qui sulla Terra. La scoperta sensazionale, premio Nobel per la fisica nel 2011, è che questo vuoto sembra agire come una forza antigravitazionale, o se vogliamo, possedere una sua forma di energia. Per capire meglio come questa scoperta sia avvenuta e quali siano le conseguenze tocca fare qualche passo indietro.
Nel 1927 l’abate Georges Lemaitre fu il primo, sulla base di dati sperimentali, a proporre la possibilità di un universo in espansione. In questo universo le galassie a una certa distanza tendono ad allontanarsi con una velocità proporzionale alla loro distanza. Maggiore è la loro distanza, maggiore è quindi la loro velocità di allontanamento. Per quanto possa sembrare strana questa idea, è invece una semplice soluzione ammessa dalla relatività generale di Einstein.
In questa teoria lo spazio non è immutevole ma può dipendere dal tempo. Più propriamente non sono le galassie ad allontanarsi ma lo spazio tra esse a variare. Questa ipotesi dell’universo in espansione fu poi confermata dalle successive osservazioni di Edwin Hubble e Milton Humason ed è rimasta fino ai nostri giorni come uno dei pilastri del modello cosmologico. Intorno al 1998, tuttavia, si è scoperto che l’Universo non solo si espande, ma si espande in modo accelerato. Questo risultato è stato ottenuto osservando oggetti molto distanti da noi, diversi miliardi di anni luce, quali le supernovae di tipo Ia.
Questi oggetti nascono dal collasso gravitazionale di stelle chiamate nane bianche per accrescimento di materia da parte di una stella compagna definita come gigante rossa. Anche se il processo di esplosione non è completamente compreso, le supernovae rilasciano una quantita’ di energia spaventosa durante l’implosione, risultando luminose quanto la galassia ospitante. Sono oggetti quindi molto luminosi e visibili a grandissime distanze. L’esplosione è però visibile solo per qualche giorno ed è un evento raro (si stima che in ogni galassia vi sia l’esplosione di una supernova solo ogni 500 anni). È quindi necessaria una esplorazione continua del cielo e nel 1998 ne furono individuate, grazie anche al telescopio spaziale Hubble della NASA, una quarantina. È proprio grazie a queste misure che si è dedotto che l’universo su queste distanze enormi non solo si espande, ma si espande in modo accelerato.
Universo o Multiverso?
Tornando alle equazioni della relatività generale, questo implica che su distanze così grandi non sia la materia ordinaria a prevalere ma una forma di energia oscura, di densità costante nonostante l’espansione, una forma di energia del vuoto, appunto. Le implicazioni di questa scoperta sono enormi perché non esiste una teoria che possa spiegare perché il vuoto abbia una energia pari a un valore come quello osservato. Tutti i modelli di fisica delle particelle non permettono un valore simile neanche pensando alle modifiche più estreme. Nella fisica quantistica il vuoto non è il nulla ma ha una sua struttura dovuta alla presenza di particelle virtuali. L’energia del vuoto ottenibile è però, anche assumendo le teorie supersimmetriche, circa sessanta ordini di grandezza superiore a quella osservata. Una assurdità che ha portato il fisico matematico Edward Witten a definire il problema dell’energia oscura come il problema maggiore della fisica moderna. Una possibile soluzione potrebbe venire dalla teoria dei multiversi. In questa teoria non esisterebbe un singolo universo ma una infinità di universi con una infinità di valori di energia del vuoto. Noi ci troveremmo solo in uno di questi possibili universi, proprio quello con una energia del vuoto tale da permetterci di esistere. Una fortuna molto maggiore di quella di trovare un ago nel pagliaio. In conclusione non solo sappiamo da molti anni che non siamo al centro dell’universo, ma il nostro universo stesso potrebbe essere uno dei tanti e infiniti universi possibili. Uno dei pochi, però, da permetterci di esistere.
Prof. Alessandro Melchiorri
Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma